L’infortunio dovuto ad imprudenza del lavoratore e la sua relazione con la responsabilità del datore di lavoro è stata trattata in modo completo ed autorevole nella sentenza della Cassazione Civile, sez. lavoro – Ordinanza 21 settembre 2021, n. 25597
Nel caso di danno alla salute del lavoratore conseguente ad infortunio sul lavoro, la responsabilità del datore di lavoro è esclusa solo se il danno è stato cagionato da una condotta atipica, anomala, imprevedibile ed eccezionale del prestatore, tale da porsi come causa esclusiva dell’evento dannoso. In tal caso si manifesta il c.d. rischio elettivo, che consiste nella condotta abnorme del lavoratore, estranea alla modalità prevedibile di svolgimento dell’attività lavorativa, e tale da interrompere il nesso causale tra obblighi di prevenzione e protezione dell’imprenditore e l’evento infortunistico.
Al di fuori di tale ipotesi, statisticamente piuttosto residuale nelle sentenze civili e penali, in linea di principio il datore di lavoro è sempre responsabile quando omette di adottare tutte le necessarie misure protettive, tecniche-organizzative e procedurali, incluse quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa (imperita, imprudente) del lavoratore, tra le quali la vigilanza assidua affinché le misure obbligatorie e adottate siano rispettate da parte del dipendente (cfr. Art. 2087 c.c., obbligo della massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale).
È dunque parimenti responsabile se non vigila (o non organizza un adeguato sistema di vigilanza, nominando per iscritto un preposto competente ed adeguatamente formato)) affinché le misure adottate siano rispettate da parte del dipendente. Infine, l’obbligo datoriale di tutela delle condizioni di lavoro (obbligo della massima sicurezza tecnica-organizzativa-procedurale ex art. 2087 c.c.) non è soddisfatto se le misure di prevenzione non sono idonee ad eliminare nella misura massima possibile anche i rischi derivanti da imprudenza, negligenza o imperizia del lavoratore.
Il fatto
Il lavoratore ha convenuto in giudizio la società – datrice di lavoro (appaltatrice) e la società committente al fine di ottenere il risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito a seguito di un infortunio avvenuto sul luogo di lavoro.
Durante il sollevamento di lastre del peso di 3.200 kg, da lui movimentate con un carroponte tramite telecomando, per caricarle su autoarticolati, il lavoratore (che operava presso lo stabilimento in virtù di un contratto di affidamento lavori di facchinaggio, magazzino e carico camion) era stato colpito a causa di una oscillazione del carico mentre si tratteneva nella zona di movimentazione, anziché spostarsi nell’area sicura delimitata da apposite strisce colorate sul pavimento. In sostanza era rimasto nella zona di lavorazione a “rischio residuo”.
L’INAIL ha proposto azione di regresso nei confronti di tutte e due due le società coinvolte, l’appaltatrice e la committente.
Sia il Tribunale che la Corte d’appello in secondo grado respingevano la richiesta risarcitoria del lavoratore, sostenendo che l’incidente andava ascritto a colpa esclusiva del lavoratore. Veniva pure respinto il ricorso dell’INAIL. Infatti, il giudice d’appello ha ritenuto indimostrata l’omessa vigilanza tanto del datore di lavoro quanto della committente.
Viceversa era emersa una condotta anomala del lavoratore, che ricorre in Cassazione.
Il ricorso del lavoratore
Nel ricorso l’infortunato lamenta la mancata vigilanza e la violazione delle misure di sicurezza da parte del datore di lavoro, nonchè l’inidoneità della misura preventiva adottata nell’attività di caricamento delle lamiere, sostenendo “che le misure di sicurezza adottate, e in particolare la segnaletica orizzontale volta a delimitare la zona “a rischio residuo”, non fossero idonee ad impedire l’accesso del lavoratore nelle suddette aree, mentre sarebbe stata esigibile l’installazione di una barriera fisica o di appositi dispositivi elettronici, in grado di ostacolare il passaggio del lavoratore anche per disattenzione o leggerezza o, in alternativa, una assidua vigilanza“.
Con il secondo motivo ha dedotto “la violazione degli artt. 2 lett. e), 18, 19 e 299 del d. lgs. n. 81 del 2008, per non avere la Corte di merito considerato che la posizione di garanzia, di cui erano titolari la datrice di lavoro e la committente, comportasse, oltre all’obbligo di predisporre le misure di sicurezza, anche quello di vigilare adeguatamente sul rispetto di tali misure da parte dei dipendenti”.
Egli contesta la sentenza d’appello che ha considerato come anomalo il suo comportamento perché, al momento di azionare il carroponte, era rimasto vicino alle cataste di lamiere, senza recarsi nella zona sicura delimitata dalle linee verdi presenti sul pavimento. Il giudice di merito ha ritenuto sufficiente tale unica misura disposta dal datore di lavoro, escludendone la responsabilità.
La decisione
La Suprema Corte accoglie la richiesta del ricorrente, ritenendo che la sentenza d’appello non rispetti i principi elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
L’obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro
La sentenza ricorda che: “L’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro, e che trova fondamento nell’art. 32 Costituzione oltre che nell’art. 31 della c.d. Carta di Nizza, ove si prevede che «ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose», è declinato attraverso specifiche disposizioni di legge (tra cui il d.lgs. 81 del 2008) e attraverso la norma di chiusura dettata dall’art. 2087 cod. civ., così che è imposto al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata, ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore, in base all’esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati (v. in tal senso, Cass. n. 30679 del 2019; n. 14066 del 2019; n. 12863 del 2004)”.
Il datore di lavoro deve adottare:
– non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata,
– ma anche tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore.
Tali altre misure devono essere adottate “in base all’esperienza ed alla tecnica e tenuto conto della concreta realtà aziendale e degli specifici fattori di rischio, sia pure, come è stato precisato, in relazione ad obblighi di comportamento concretamente individuati” (Cass. 30679/2019; Cass. 14066/2019; Cass. 12863/2004).
I capisaldi della elaborazione della Cassazione sono I seguenti:
- “la mancata attuazione delle misure di prevenzione, specificamente previste da norme di legge oppure esigibili nel caso concreto in base alle regole di prudenza, perizia e diligenza, e idonee ad impedire l’evento lesivo oppure a ridurne le conseguenze, fonda la responsabilità datoriale per il caso di infortunio occorso al lavoratore”;
- “le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti ascrivibili a sua imperizia, negligenza ed imprudenza”;
- “la dimensione dell’obbligo di sicurezza che grava sul datore di lavoro comporta che questi sia tenuto a proteggere l’incolumità dei lavoratori e a prevenire anche i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei medesimi nell’esecuzione della prestazione, dimostrando di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea “ (v. Cass. n. 16026 del 2018; n. 798 del 2017; n. 27127 del 2013; n. 4075 del 2004);
- “il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del lavoratore, sia quando, pur avendo adottate le necessarie misure, non accerti e vigili affinché queste siano di fatto rispettate da parte del dipendente”(v. Cass. n. 2209 del 2016);
- “l’eventuale condotta colposa del lavoratore non può avere alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni o per la mancata adozione delle misure necessarie a tutela della salute psicofisica dei lavoratori”;
- “l’eventuale imprudenza o negligenza del lavoratore non rileva neanche ai fini del concorso di colpa quando vi sia inadempimento datoriale rispetto all’adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l’imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell’evento dannoso” (v. Cass. n. 30679 del 2019);
- deve escludersi “la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, cod. civ., (al di fuori dei casi cd. di rischio elettivo), quando risulti che il datore di lavoro abbia omesso di adottare le prescritte misure di sicurezza, oppure abbia egli stesso impartito l’ordine, nell’esecuzione puntuale del quale si è verificato l’infortunio, o ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l’eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell’infortunio ed è, pertanto, giuridicamente irrilevante (Cass. n. 8988 del 2020). Si è, in particolare, escluso il concorso di colpa del lavoratore ove l’infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza” (v. Cass. n. 8988 del 2020 cit.; n. 12538 del 2019);
- “la condotta del dipendente può comportare l’esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (v. Cass. 4075 del 2004), cioè quando la condotta del lavoratore, del tutto imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell’evento”(v. Cass. n. 3786 del 2009);
- per “rischio elettivo” si intende “una condotta personalissima del lavoratore, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa e tale da creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro e da porsi come causa esclusiva dell’evento, interrompendo il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata” (v. Cass. n. 3763 del 2021; n. 7649 del 2019; n. 16026 del 2018; n. 798 del 2017; n. 7313 del 2016; n. 28786 del 2014; n. 12779 del 2012; n. 21694 del 2011);
- “in relazione al precetto stabilito dall’art. 2087 cod. civ., la responsabilità del datore di lavoro, nel caso di danno alla salute subito dal lavoratore, è quindi esclusa se il danno è provocato da una condotta di quest’ultimo del tutto atipica ed eccezionale rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute in modo da porsi come causa esclusiva dell’evento dannoso” (Cass. n. 7127 del 2007);
- in tema di “distribuzione dell’onere probatorio, si è costantemente affermato che, ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 cod. civ. – la quale non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva – al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente”(Cass. n. 3786 del 2009);
- “più esattamente, il lavoratore che agisca nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalità materiale tra questo ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione di cui all’art. 1218 cod. civ.. In particolare, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge, o da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall’art. 2087 cod. civ., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione (Cass. n. 10319 del 2017; n. 14467 del 2017; n. 34 del 2016; n. 16003 del 2007).
Dunque la Corte di merito che ha erroneamente respinto il ricorso del lavoratore “non ha fatto corretta applicazione dei principi … richiamati là dove ha escluso ogni responsabilità datoriale sul presupposto di una condotta “anomala” del lavoratore, e sebbene avesse accertato in fatto che questi si era infortunato, non per aver posto in essere una condotta arbitraria, dettata da finalità e motivi personali ed estranea allo svolgimento delle mansioni e alla direttive ricevute (secondo i canoni del “rischio elettivo”), bensì mentre eseguiva come di consueto la prestazione lavorativa, consistente nello spostamento delle lamiere, e stava azionando il carroponte tramite l’apposita pulsantiera; in tale frangente, era stato colpito dalla oscillazione delle lamiere sollevate col carroponte, in quanto si trovava nella zona di movimentazione del carico, da cui non si era tempestivamente allontanato”.
La sentenza impugnata è dunque partita “dall’assunto erroneo di configurabilità di un rischio elettivo, capace di recidere il nesso causale tra l’obbligo di sicurezza a carico del datore e/o committente e l’infortunio occorso, la sentenza impugnata è incorsa nel denunciato errore di diritto, per violazione dell’art. 2087 cod. civ., in quanto ha del tutto omesso di indagare sulla idoneità delle misure di prevenzione adottate dalla datrice di lavoro e/o dalla committente (apposizione di segnaletica orizzontale costituita da una linea verde e procedure operative POS 11 e 20) a scongiurare il rischio connesso alla movimentazione delle lamiere, di notevole peso e dimensioni; rischio che era necessario valutare anche in relazione ad una possibile condotta negligente e imprudente del lavoratore”.
Per tutti questi motivi la Cassazione “accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità”.
Redazione Notiziario Sicurezza by avv. Rolando Dubini, Foro di Milano, cassazionista
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