Sentenza Cassazione Penale, del 26 febbraio 2016 n. 21575. Condanna per il datore di lavoro per non aver previsto dispositivi di protezione collettiva in combinazione della linea vita esistente

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La Corte di appello di Trieste, con sentenza 16 febbraio 2015, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Tolmezzo, dichiarava D.P. e M.D. responsabili di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, commessa ai danni del lavoratore T.V. e li condannava, rispettivamente, il primo alla pena di euro 4560 di multa, in conversione di giorni 120 di reclusione, e il secondo alla pena di mesi tre di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e con condanna per entrambi alla rifusione dei danni ed al pagamento delle spese di assistenza della costituita parte civile.

Il Tribunale di Tolmezzo, dopo aver richiamato la normativa di riferimento in materia di sistemi di prevenzione contro le cadute dall’alto, ha ricostruito il fatto nel seguente modo: la società D.P. srl aveva assunto l’appalto per il rifacimento del manto di copertura di un edificio. Tra le spese previste, c’era anche la formazione di un ponteggio prefabbricato per garantire la sicurezza del personale in cantiere, o l’utilizzo di dispositivi di sicurezza anticaduta e piattaforme aeree o scale. Nel piano operativo di sicurezza erano previste misure preventive e protettive adeguate per l’esecuzione dei lavori. Tuttavia, nonostante queste previsioni, il cantiere non aveva parapetti di protezione, ma solo una linea-vita, che consisteva in tre paletti fissi collegati da un cordino d’acciaio a cui gli operatori si dovevano agganciare con un’imbragatura di sicurezza. Durante il sinistro, c’erano quattro operai sul tetto che stavano installando pannelli isolanti. A causa delle operazioni in corso e della presenza di più operai e attrezzi, il cordino si impigliava spesso sotto i pannelli. In una di queste occasioni, il cordino si era impigliato sotto un pannello e l’operaio V.T. era stato costretto a sganciarsi per passare dall’altra parte. Il pannello era scivolato e aveva colpito le gambe dell’operaio, facendolo cadere dal tetto da un’altezza di nove metri.

Il tribunale ha concluso che la causa dell’infortunio risiedeva nella scelta di fornire ai lavoratori solo dispositivi di protezione individuale (DPI), che si sono rivelati inadeguati, anziché dotare il cantiere di dispositivi di protezione collettiva (DPC), come previsto nel preventivo e nel piano operativo di sicurezza. Il tribunale ha respinto la difesa secondo cui la responsabilità dell’infortunio era da attribuire esclusivamente alla negligenza del lavoratore o al suo comportamento anomalo. Inoltre, ha osservato che la scelta dei dispositivi di sicurezza non poteva essere influenzata dalla breve durata dei lavori, che sono durati circa un mese. Ha valutato che l’attività dell’operaio rientrava perfettamente nelle sue mansioni e che la sua condotta non poteva essere considerata radicalmente diversa dalle scelte prevedibili o imprudenti che un lavoratore potrebbe fare nell’esecuzione del proprio lavoro.

Il tribunale ha quindi stabilito che è stata violata la normativa in materia di sicurezza sul lavoro e ha riformulato la decisione in base a queste considerazioni.

Redazione NotiziarioSicurezza.it @NewsSicurezza @notiziariosicurezza  Notiziario Sicurezza

La linea vita è un Dispositivo di Protezione Individuale o Collettivo?

 

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