Sentenza di Cassazione del 04 dicembre 2023, n. 48046 – Sicurezza dei lavori in quota: le misure di protezione collettiva vanno adottate in via prioritaria rispetto a quelle di protezione individuale

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In data 14.12.2022 la Corte d’appello di Brescia ha emesso una sentenza che ha parzialmente modificato la sentenza del Tribunale locale del 22.3.2021, la quale aveva ritenuto A.A., C.C. e B.B. responsabili del reato di lesioni personali colpose gravi aggravate dalla violazione della normativa di prevenzione infortunistica. La Corte d’appello ha concesso le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con le contestate aggravanti e ha condannato C.C. e B.B. a pagare una multa di Euro 12.000,00 ciascuno, revocando anche il beneficio della sospensione condizionale della pena nei loro confronti. La sentenza ha confermato nel resto la decisione del Tribunale.

Il fatto oggetto del procedimento riguarda D.D., dipendente della società Copertech Srl temporaneamente distaccato presso la ditta R&G Group Srl, che è rimasto gravemente ferito durante un lavoro di rifacimento guaine sul tetto di un cantiere condotto in appalto dalla Costruzioni F.F. Srl. D.D. è precipitato da un’altezza di 4 metri dopo aver sfondato un lucernario in plexiglass, a causa dell’assenza di reti di protezione sottostanti. Come risultato dell’incidente, D.D. ha riportato gravi lesioni e ha subito un lungo periodo di inabilità lavorativa.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che i responsabili delle aziende coinvolte non hanno adottato le misure di sicurezza necessarie per prevenire l’incidente, tra cui l’assenza di reti di protezione e l’omessa adozione di attrezzature idonee per garantire condizioni di lavoro sicure in quota. In particolare, A.A. è stato ritenuto responsabile per non aver scelto le attrezzature più idonee e per non aver adottato misure di prevenzione collettive. C.C. è stato ritenuto responsabile per non aver verificato le condizioni di sicurezza dei lavori affidati, mentre B.B. è stato ritenuto responsabile per non aver verificato nella sua qualità di coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori per non aver verificato l’applicazione delle disposizioni del PSC ed in particolare per non aver imposto l’installazione di soluzioni atte a ridurre al minimo il rischio di caduta e per non aver rilevato l’inidoneità delle soluzioni previste dalle imprese esecutrici. 

Il Tribunale ha ritenuto che la priorità data all’implementazione di mezzi di sicurezza individuali anziché alle misure di protezione collettiva fosse antidoverosa (cioè contrario alla norma). Secondo il Tribunale, sarebbe stato possibile eliminare il rischio di caduta installando reti di sicurezza sotto i lucernari, utilizzando parapetti provvisori e, se necessario, impiegando ponteggi.

In particolare, è stato osservato che, a parte il parapetto perimetrale, l’unico sistema di protezione contro il pericolo di caduta dai lucernari era rappresentato dal sistema di linea vita installato sulla copertura dalla R&G Group Srl.
Non è stata ritenuta sufficiente l’implementazione di un presidio di carattere individuale, considerando la possibilità di installare un presidio collettivo.

Date le gravi carenze nel sistema di protezione predisposto, il Tribunale ha ritenuto secondario il tema relativo all’adeguatezza del sistema vita installato sul piano di lavoro, così come alla condotta imprudente dei lavoratori che non si agganciavano alla linea vita esistente.

Il giudice d’appello ha confermato la necessità prioritaria di adottare dispositivi di protezione collettiva anziché dispositivi di protezione individuale, reputando quindi irrilevanti ulteriori questioni.

Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione con separati atti A.A. e B.B..

Ricorso per A.A.: si articola in quattro motivi.

Tra cui la censura della sentenza laddove ha ritenuto la responsabilità dell’imputato pur essendo emerso che l’impianto di protezione posto sulla copertura del capannone fosse sufficiente ad evitare le cadute dall’alto dando la prevalenza ai dispositivi di protezione collettivi rispetto a quelli individuali.

Si sottolinea che il A.A. in quanto legale rappresentante della soc. R&G Group ha fornito i dispositivi individuali, ha montato il parapetto nonché i dispositivi di aggancio ed ha eseguito idonea formazione per i lavoratori.

Ricorso per B.B.: si articola in tre motivi.

Con il primo motivo si sostiene che vi è violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), e si evidenzia la manifesta illogicità e contraddittorietà estrinseca della motivazione nella parte in cui si ritiene che il ricorrente abbia commesso un’omissione colposa, nonché si contesta l’erronea applicazione del D. Lgs. n. 81 del 2008, articoli 40 cpv-cp, 92 e 111 D. lgs. 81/2008.

Si contesta anche l’irrilevanza aprioristica delle misure di protezione individuale nel interrompere il nesso di causalità, in quanto subordinata a quelle collettive.

Il ricorso presentato dagli imputati è stato dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni:

1.1. Per quanto riguarda il ricorso presentato da A.A., il primo, secondo e terzo motivo risultano chiaramente infondati.

Si sottolinea nel merito che l’installazione di una linea vita sulla copertura del capannone risulta essere una protezione meno efficace delle misure di protezione collettive.

È importante ricordare che la gestione del rischio di caduta dall’alto è affidata dalla legge a due principali forme di presidio: collettivo e individuale. La prima disposizione prevede che debba essere data priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale; la seconda disposizione consente al datore di lavoro di scegliere il tipo più idoneo tra i sistemi di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota.

La ragione principale di questa indicazione risiede nel fatto che i dispositivi di protezione collettiva sono in grado di funzionare indipendentemente dal comportamento del lavoratore, anche se questo omette imprudentemente di utilizzare il dispositivo di protezione individuale. La seconda disposizione permette al datore di lavoro di scegliere il tipo più adatto di sistema di accesso per i lavori temporanei in quota (art. 111, comma 2), valorizzando la sua possibilità di optare per diversi sistemi in base alle circostanze. Un’altra disposizione consente al datore di lavoro di utilizzare sistemi di accesso e posizionamento tramite funi solo se non è giustificato l’uso di un’altra attrezzatura considerata più sicura a causa della breve durata di utilizzo o delle caratteristiche non modificabili del luogo (art. 111, comma 4). Questa disposizione conferma la preferenza del legislatore per i sistemi di protezione collettiva nei lavori in quota.

Tutte le norme di sicurezza previste dal legislatore per i lavori in quota indicano che i dispositivi di protezione collettiva sono lo strumento principale per garantire la sicurezza dei lavoratori. Essi vengono indicati come prioritari nella scelta delle attrezzature di lavoro e l’adozione di attrezzature di protezione individuale o di sistemi di accesso e posizionamento mediante funi è considerata una scelta subordinata, da adottare solo se non è possibile utilizzare un’attrezzatura di lavoro più sicura, data la durata dell’impiego e le caratteristiche del luogo (Sez. 4, n. 24908 del 25/5/2021, Rv. 281680).

Per quanto Riguarda il ricorso di B.B. CSP/CSE il primo motivo è chiaramente infondato.

Come già evidenziato nel esaminare la posizione di A.A., in materia di sicurezza dei lavoratori che devono eseguire lavori in quota, è prioritario e fondamentale il mancato adozione delle misure di protezione collettiva rispetto a quelle individuali (che risultano inoltre inadeguate nel caso specifico).

La Corte territoriale ha correttamente applicato le norme sopra citate, sottolineando che, considerata la particolarità del lavoro da svolgere, che richiedeva la realizzazione di numerose aperture nella pavimentazione prospiciente il vuoto, la predisposizione di misure di sicurezza collettiva come l’applicazione di reti anticaduta sotto il piano di calpestio del tetto o l’installazione di sottoponti, era senz’altro possibile e anzi doverosa; inoltre, la linea vita sulla copertura del capannone, con la possibilità per i dipendenti di agganciarsi con le cinture di sicurezza messe a loro disposizione, non era idonea a evitare la caduta attraverso i lucernari verso l’interno dell’edificio.

In conclusione, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

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